Intervista ad Anna Gentili: oltre il palato, il ruolo del critico gastronomico

Intervista ad Anna Gentili: oltre il palato, il ruolo del critico gastronomico

di Michele Porcheddu

Tradizionalmente, la critica gastronomica si concentrava sulla qualità sensoriale del cibo. I critici valutavano i ristoranti principalmente in base al gusto, alla creatività dei piatti e al servizio. Il ruolo del critico gastronomico però si è evoluto nel tempo, e oggi abbraccia aspetti culturali che arricchiscono e complicano il suo compito. Il critico non valuta solo il sapore e la presentazione dei piatti, ma si impegna anche a comprendere l’impatto sociale, culturale ed economico del cibo.

Ce lo spiega Anna Gentili, milanese, classe 2002. Da sempre appassionata di scrittura, attualmente collabora con diverse testate giornalistiche come Vanity Fair, Dove Viaggi e So Wine So Food. Ha fondato una piattaforma virtuale @chronicgastronomes dedicata alla gastronomia e all’hotellerie. Anna ha inoltre collaborato con il noto chef stellato Mauro Colagreco al Mirazur e attualmente studia presso l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo.

Giovanissima si, ma con tante esperienze alle spalle e una storia di rinascita e di ispirazione. Anna ha sofferto di disturbi alimentari (qui potete leggere il suo racconto). Da sempre, la scrittura è stata la sua via di fuga e terapia per l’anima. Anna ama il contatto umano che il suo lavoro le offre e che le permette di scoprire la realtà dietro le quinte di ristoranti e hotel. E il cibo per lei è sempre stato uno strumento prezioso per comunicare, rifugiarmi, interpretare le cose e conoscere il mondo“. Perchè “scrivere di cibo vuol dire parlare di cultura e linguaggio, diritti e privazioni, etica, economia del territorio, scienza e coscienza. E molto altro ancora” racconta in un suo articolo.

Ma cosa significa oggi essere una critica gastronomica? Il cibo è un potente vettore culturale. Ogni piatto racconta una storia, riflette tradizioni e rappresenta l’identità di una comunità. Un critico gastronomico deve essere in grado di riconoscere e apprezzare questi elementi. Valutare un piatto significa anche capire il contesto culturale in cui è stato creato. Questo richiede una conoscenza approfondita delle cucine e delle influenze storiche che le hanno modellate. I critici gastronomici infatti hanno un ruolo educativo. Possono sensibilizzare il pubblico su importanti questioni culturali, ambientali e sociali. Un critico informato e consapevole può influenzare positivamente le scelte dei consumatori, incoraggiandoli a sostenere ristoranti che rispettano le tradizioni culturali e adottano pratiche sostenibili.

Abbiamo fatto quattro chiacchiare con Anna Gentili per farci raccontare cos’è per lei la critica gastronomica.

Per quella che è la mia personale concezione del termine, un critico gastronomico è una persona che fa un lavoro di “critica” intorno alla gastronomia. Criticare significa esercitare il dubbio, mettere in discussione le cose. Ragionando non sulle situazioni ma sui contesti. Esempio: un bravo critico non valuta un ristorante con un punteggio da 1 a 10 in base a quanto ha apprezzato cibo, ambiente e servizio. Ma fa un ragionamento più ampio e viscerale: ne valuta l’impatto sociale ed economico sul territorio, la sostenibilità ambientale, la gestione di filiera. Prendi un’anguilla: può essere cotta e laccata a puntino, con una reazione di Maillard magistralmente eseguita, e impiattata a regola d’arte. Ma se mi servi un animale in via d’estinzione tu per me non sei un bravo cuoco e quello non è un buon piatto. È un discorso complesso, ci sarebbero centinaia di esempi. Un critico gastronomico per come lo intendo io dovrebbe valutare queste cose, non se il cameriere di sala si ricorda a memoria i 54 ingredienti nel piatto.

Non mi definirei una “critica gastronomica” secondo quello che è l’uso comune del termine. Ma capisco la tua domanda. La prima ispirazione è stato Anton Ego: il critico e giornalista gastronomico del film Ratatouille. Ero affascinata da una figura così autorevole e determinante. Se dovessi dirti oggi il nome di un critico gastronomico che ammiro e stimo, solo Carlo Petrini.

Per quanto riguarda l’intraprendere il percorso da critico gastronomico: non è un viaggio solo in avanti ma a ritroso. Bisogna studiare tanto, leggere a più non posso, imparare la cultura prima delle mode.

Scrivo per i lettori, non per gratificare ristoranti e cuochi. Tuttavia, se mi trovo male di solito ne parlo con i diretti interessati (chef, personale, a volte anche uffici stampa) mentre pubblicamente mi avvalgo del silenzio. Non mi piace, salvo casi eccezionali, parlare pubblicamente male di un ristorante dove lavorano persone che, in ogni caso, fanno sacrifici ogni giorno. Le mie critiche negative stanno nel silenzio, nella maggior parte dei casi. Se qualcuno però mi domanda, dico tutto quello che penso.

Una minestra di verdure, impari ad apprezzarmi crescendo. Scherzi a parte, è un piatto che mi ha sempre affascinata: apparentemente semplice ma stratificato e complesso. Con tanti elementi, sempre diversi, in armonia con le stagioni e la terra. Ostile a prima vista, può diventare un luogo sicuro se impari a conoscerlo. E riscaldata non è mai buona: non mi piace chi lascia i piatti a metà e chi ti abbandona nella strada della vita.

Un giorno una persona mi disse “devi sognare così forte da rompere tutti i cassetti” quindi no, nessun cassetto, appena desidero qualcosa faccio di tutto per ottenerlo. Sono felice con quello che ho. Ho ambizioni, quello sì, ma so che l’essenziale è invisibile agli occhi e tutto ciò che mi serve è già accanto a me.

Come principali pregi ti direi che sono molto determinata, intelligente e sincera. I difetti sono strettamente legati ai miei pregi, credo: tendo ad essere arrogante, esigere troppo e spadroneggiare.

Credo di essere tra le più giovani in questo settore, quindi non mi sento di dare “consigli ai giovani”. Anzi, spesso vorrei averli io. So ancora poco, ho il mondo da imparare e nessuno che mi guidi. Rimaniamo curiosi, vigili e sinceri. Questo posso dirlo.

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