
Cibo, corpo e salute: l’alimentazione oltre lo stigma | Intervista alla Dott.ssa Gaia Ciampaglia
Tra diet culture, grassofobia e falsi miti, l’alimentazione è spesso vittima di pregiudizi e stereotipi che influenzano la percezione della salute e del peso corporeo. La Dott.ssa Gaia Ciampaglia ci aiuta a fare chiarezza
di Piera Pastore
In un’epoca in cui il cibo è costantemente sotto i riflettori – tra mode alimentari, diete miracolose e false credenze – il rapporto con l’alimentazione è sempre più influenzato da stereotipi e pressioni sociali. Da un lato, la diet culture (o “cultura della dieta, insieme di credenze che valorizzano la magrezza e la tonicità dei corpi come espressione di salute ndr) ha imposto regole rigide su cosa sia “giusto” o “sbagliato” mangiare, generando ansia e sensi di colpa. Dall’altro, la grassofobia (pregiudizio nei confronti delle persone grasse, spesso associato a giudizi negativi sulla loro salute e valore ndr) continua ad alimentare discriminazioni nei confronti dei corpi non conformi agli standard estetici dominanti, spesso confondendo salute e magrezza. In questo contesto, è fondamentale rivedere il modo in cui ci approcciamo al cibo e al benessere, liberandoci da preconcetti dannosi.
Purtroppo, la disinformazione e il “terrorismo mediatico” giocano un ruolo centrale in questa confusione, diffondendo messaggi errati che alimentano ansia e insicurezze riguardo all’alimentazione. Un esempio è il recente articolo pubblicato dal Corriere del Veneto, in cui si racconta la storia dello chef stellato Matteo Grandi, che afferma di aver perso 90 chili in 8 mesi grazie a una dieta priva di zuccheri e carboidrati. Questo tipo di narrazione rischia di fare passare l’idea che soluzioni estreme e non bilanciate siano la chiave per il successo, distorcendo la realtà e facendo credere a molti che l’unico modo per essere in salute (e dimagrire) sia seguire regimi alimentari rigidi e drastici (eliminando alcuni cibi e macronutrienti). Tali racconti, presentati come esempi di successo, possono essere pericolosi, creando aspettative irrealistiche e spingendo le persone a mettere a rischio il proprio benessere in nome di modelli di perfezione irraggiungibili. Questo “terrorismo alimentare” può essere inoltre un trigger per chi già vive una relazione complicata con il cibo, alimentando o peggiorando disturbi alimentari. Le narrazioni diffuse dai media che celebrano diete drastiche o la perdita di peso estrema, spesso senza considerare gli effetti collaterali a lungo termine, possono scatenare un circolo vizioso di insicurezze e comportamenti dannosi. Quando l’immagine del corpo diventa un valore primario e l’alimentazione è vista solo in termini di restrizioni e sacrifici, chi è già vulnerabile rischia di sentirsi spinto verso soluzioni alimentari pericolose, incapace di riconoscere il confine tra benessere e abuso.




È ora di andare oltre la mentalità che giudica un corpo sulla base di ciò che rappresenta esteriormente, e questo vale anche per l’alimentazione. Troppo spesso, infatti, ci ritroviamo a demonizzare determinati cibi, associandoli a colpe e a disvalori senza tenere conto delle necessità individuali e del contesto in cui si inseriscono. La grassofobia è solo un riflesso di questa tendenza: ridurre le persone a semplici etichette in base al loro aspetto esteriore ignora le cause complesse dell’obesità, che derivano da fattori genetici, psicologici, sociali ed economici. L’obesità è una malattia multifattoriale e va trattata con rispetto e comprensione, non con giudizio. Allo stesso modo, la convinzione che la magrezza sia sinonimo di bellezza e salute è altrettanto limitante e dannosa. Ma il danno non arriva solo dallo stigma sui corpi, anche l’alimentazione viene costantemente giudicata. Cibi considerati “tabù”, come zuccheri, carboidrati o grassi, vengono demonizzati, creando una divisione netta tra ciò che è “buono” e ciò che è “sbagliato”, senza considerare che ogni corpo ha bisogni diversi. La salute non si misura con formule universali o con un numero sulla bilancia, ma con un equilibrio che va oltre le apparenze.
Per fare chiarezza su questi argomenti e comprendere cosa significhi “mangiare sano”, abbiamo intervistato la dott.ssa Gaia Ciampaglia, biologa nutrizionista specializzata nello studio del microbiota intestinale.
La dott.ssa Ciampaglia lavora tra Pesaro, Riccione, Rimini (e online), e attraverso il suo approccio scientifico aiuta le persone a migliorare la propria alimentazione senza privazioni e sensi di colpa. Collabora con la MICS (Microbiota International Clinical Society), approfondisce costantemente le nuove ricerche in ambito nutrizionale, con l’obiettivo di promuovere il benessere a lungo termine.


Cosa significa, in termini pratici, seguire un’alimentazione equilibrata?
Per comprendere in termini pratici cosa significa seguire un’alimentazione equilibrata, è fondamentale partire da un concetto essenziale: la salute non è data solo dal benessere fisico, ma anche da quello mentale e sociale. E non lo dico io, ma l’OMS. Di conseguenza, l’alimentazione, in qualità di uno degli elementi determinanti per la salute, non può essere ridotta a un semplice elenco di regole nutrizionali, ma deve rappresentare un approccio più ampio e complesso, che tiene conto dell’individualità, del piacere di mangiare e del sano rapporto con il cibo. Sicuramente seguire un’alimentazione bilanciata significa garantire al corpo tutti i nutrienti essenziali, variando gli alimenti e scegliendo prodotti freschi, non processati e di buona qualità, in quantità adeguate al proprio fabbisogno. Ma questo non significa privarsi completamente di cibi considerati “meno salutari”, piuttosto imparare a gestirli con consapevolezza e moderazione. Il vero equilibrio sta quindi nel godersi il cibo senza sensi di colpa e adottando un rapporto sereno con ciò che si mangia. Un’alimentazione rigida o restrittiva genera stress e frustrazione compromettendo il benessere mentale e sociale, e di conseguenza la salute nel suo senso più completo.
Quali sono gli errori più comuni che le persone commettono pensando di mangiare sano?
Prima di tutto, ridurre drasticamente l’introito calorico, in particolare dei carboidrati, è un errore comune. Inoltre, in assenza di carboidrati, il corpo li sintetizza da sé… quindi, tanto vale concedersi un buon piatto di pasta! Un altro errore frequente è consumare in grandi quantità alimenti considerati sani, come frutta e verdura. Sebbene siano essenziali per l’organismo, è sempre la dose a fare il veleno: anche un eccesso di questi può portare a squilibri e persino importanti danni per la salute.





Quali consigli darebbe per integrare più frutta e verdura nella dieta quotidiana?
Per chi non è particolarmente appassionato di frutta e verdura, consiglio sempre di incorporarle in ricette sfiziose. Ad esempio, si possono preparare polpette vegetali, frullati ed estratti freschi, o ancora creme a base di verdure da usare per condire la pasta. Però, cerco sempre di incoraggiare la persona a consumare almeno un po’ di frutta e verdura che gradisce, preferibilmente in forma intera, anche se in piccole quantità, in modo da ottenere il massimo dalle fibre, dalle vitamine e da tutti i nutrienti essenziali che potrebbero andare persi con la cottura o altre preparazioni.
Come si può conciliare un’alimentazione sana ed equilibrata con un’intensa attività lavorativa e poco tempo a disposizione?
Credo che con una buona organizzazione si possa fare davvero tutto. La preparazione di pasti sani non richiede molto tempo né tanto impegno, anzi, spesso è più veloce di quanto si pensi. In realtà, credo che la scusa del “non avere tempo” sia spesso una giustificazione. Quante volte perdiamo tempo con cose che non sono davvero necessarie? Quando qualcosa è importante per noi, il tempo lo troviamo sempre. Si tratta semplicemente di stabilire le giuste priorità.
Perché c’è ancora “paura” verso cibi come il pane o la pasta? Qual è il ruolo dei carboidrati nella dieta e perché vengono spesso “fraintesi”?
La paura che circonda alcuni alimenti nasce spesso dalla malainformazione, che si diffonde velocemente, soprattutto in un’era dominata dai social media. Purtroppo, siamo abituati a non approfondire le informazioni e a credere ciecamente a ciò che ci viene detto, senza verificarne la veridicità. I carboidrati sono un macronutriente essenziale per il nostro organismo: sono la “benzina” che alimenta il nostro corpo, e in particolare il nostro cervello. Infatti, se non li assumiamo, il nostro corpo ha la capacità di ricavarseli autonomamente a partire da altre molecole, attraverso un meccanismo biochimico chiamato gluconeogenesi. Eliminare completamente i carboidrati dalla propria alimentazione quindi è privo di senso e può risultare pericoloso. La paura verso i carboidrati è infondata: non sono loro a farci ingrassare, ma l’eccesso calorico.





Sfatiamo qualche mito: esistono davvero cibi “dimagranti” o “miracolosi”? Come si possono distinguere i miti dalle verità in ambito alimentare?
Assolutamente non esistono cibi “miracolosi” che fanno dimagrire, beveroni magici o pillole che bruciano i grassi. La risposta è molto più semplice di quanto sembri: mangiare in modo equilibrato e mantenersi attivi! L’esercizio fisico è essenziale per la nostra salute, non solo per mantenere un peso sano, ma anche per il benessere generale del corpo e della mente. Tutto il resto sono solo tentativi di vendere illusioni e false speranze.
C’è chi fa ancora molta difficoltà ad interpretare le etichette e i valori nutrizionali degli alimenti. A cosa dobbiamo fare attenzione quando scegliamo i prodotti?
Leggere l’etichetta nutrizionale è fondamentale, e mi piace sempre ricordarlo ai miei pazienti, sottolineando su cosa focalizzarsi quando fanno la spesa. Le etichette offrono molte informazioni utili, ma per semplificarlo, ci sono alcuni aspetti chiave da considerare, prima di tutto gli ingredienti: meno ce ne sono, meglio è, perché un elenco lungo può indicare la presenza di additivi e sostanze poco naturali. Poi, è importante controllare la quantità di zuccheri, di grassi saturi e di sale. Questi tre elementi, se presenti in eccesso, possono avere un impatto negativo sulla nostra salute.





L’OMS definisce l’obesità come una malattia cronica, multifattoriale e complessa. Tuttavia, spesso si fa confusione nel comprendere che la lotta alla grassofobia non significa promuovere l’obesità, ma piuttosto eliminare lo stigma che colpisce le persone con corpi grassi. Purtroppo, salute e conformità agli standard estetici vengono frequentemente sovrapposti, alimentando giudizi superficiali e dannosi. Come possiamo, a livello personale, educarci a distinguere tra benessere fisico e le aspettative estetiche imposte dalla società? E quale ruolo possono svolgere i professionisti della nutrizione nel promuovere un rapporto sano e rispettoso con il corpo, aiutando le persone a raggiungere il loro equilibrio senza giudizi o pregiudizi, sia verso se stessi che verso gli altri?
Come sottolinea il dottor Daniele di Pauli, psicologo esperto in “stigma del peso”, un aspetto fondamentale della condizione di obesità, spesso ignorato, è proprio lo stigma basato sul peso, il quale non solo impatta negativamente sulla salute fisica delle persone, ma incide profondamente anche sul loro benessere psicologico, sociale e sulla qualità della cura che ricevono. L’obesità è una patologia cronica, il cui sviluppo è determinato da una combinazione di fattori genetici, epigenetici, ambientali e psicologici. Pertanto, non si tratta di una semplice questione di “pigrizia” o di scelte individuali: è una condizione complessa che richiede una comprensione approfondita e un approccio multidisciplinare. Frasi come “mangia di meno” o “allenati di più” delineano un approccio estremamente superficiale che non tiene conto minimamente dei molteplici fattori che contribuiscono a questa condizione. Il vero cambiamento può avvenire solo se le persone acquisiscono una conoscenza adeguata sull’obesità e sui fattori che la determinano. Se le persone comprendessero meglio cosa significhi davvero convivere con l’obesità, probabilmente lo stigma e i pregiudizi nei confronti del peso e della forma del corpo si ridurrebbero notevolmente. In qualità di professionisti della nutrizione, abbiamo un ruolo cruciale nell’affrontare e combattere questi pregiudizi. Non dobbiamo concentrarci solo sulla perdita di peso, ma piuttosto aiutare le persone a fare scelte alimentari che contribuiscano al loro benessere globale. È essenziale distinguere il concetto di salute da quello di estetica: non esiste un corpo “perfetto”, ogni persona ha il diritto di sentirsi bene nel proprio corpo, accettarsi e vivere una vita piena e soddisfacente, senza doversi sentire giudicato o emarginato a causa della di una forma corporea che non corrisponde ai canoni estetici dettati dai media e da ideali sociali rigidi.



La diet culture ha “distorto” in un certo senso le credenze legate all’alimentazione, etichettando alcuni cibi come “buoni” e altri come “cattivi”. Perchè questa distinzione può essere dannosa e come possiamo superare il “senso di colpa interiorizzato” legato al consumo di certi alimenti?
Il concetto di diet culture promuove un ideale di salute che si basa sulla magrezza e tonicità dei corpi come espressione esclusiva del benessere ma questo ideale è insostenibile e spesso implica pratiche alimentari restrittive, un controllo ossessivo del peso e delle calorie o programmi di allenamento intensivi che nulla hanno a che vedere con la salute. L’etichettare poi certi alimenti come “cattivi” crea un senso di colpa interiorizzato ogni volta che si consumano, alimentando un circolo vizioso di stress e frustrazione. Questo meccanismo può portare a comportamenti alimentari disfunzionali, come le abbuffate o l’adozione di restrizioni eccessive. Il continuo rigore eccessivo nel giudicare i cibi limita la possibilità di godere di un’alimentazione sana ed equilibrata, impedendo una relazione libera e serena con il cibo. Purtroppo, queste dinamiche sono in crescita, spinte anche dai social media, che spesso propongono modelli di salute e benessere falsati e irraggiungibili, creando aspettative distorte a cui si cerca di conformarsi a tutti i costi. Per superare la diet culture e il senso di colpa legato al cibo, è necessaria una vera e propria riprogrammazione mentale. Ciò significa mettere al centro il rispetto per il corpo, l’ascolto delle proprie esigenze individuali e il godimento del cibo senza giudizio cercando di liberarsi da un pensiero rigidamente legato alla bilancia o alla ricerca incessante di canoni estetici. Ed è proprio questa la parte più difficile del nostro lavoro.
Per concludere, quali consigli può dare a chi cerca di migliorare la propria alimentazione senza rinunciare al piacere del cibo? Può condividere qualche consiglio pratico per vivere il cibo come fonte di benessere e non di ansia?
L’unico modo per liberarsi dal senso di colpa legato al cibo è imparare a vederlo per quello che è: una fonte di nutrimento essenziale per il nostro organismo, ma anche un elemento di piacere e convivialità. Il cibo non è un nemico, e non dovrebbe mai essere vissuto come tale. Ascoltare il proprio corpo, rispettarne le esigenze e nutrirsi in modo equilibrato senza privazioni inutili è fondamentale per costruire un rapporto sano con l’alimentazione. Spesso, il cibo viene usato come valvola di sfogo per lo stress o come compensazione emotiva, per cui la vera chiave sta nel raggiungere un benessere interiore che permetta di vivere con serenità. Una vita sana non significa rinunce, ma equilibrio: alimentazione bilanciata, movimento e, soprattutto, amore e rispetto per sé stessi.